Concorso per diventare restauratori


Concorso per diventare restauratori

25.07.2013 22:18 

C’è tempo fino al 29 luglio 2013 per partecipare al concorso per diventare restauratori indetto dall’Istituto Centrale per ilRestauro e laConservazione delPatrimonio Archivistico eLibrario di Roma. Il bando è rivolto a diplomati e la selezione sarà per esami.

Sono aperte, infatti, le iscrizioni al concorso per esami finalizzato all’ammissione al 4°ciclo delcorso quinquennale della Scuola di Alta Formazione dell’ICRCPAL – Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario di Roma per il Percorso Formativo Professionalizzante “Materiale librario e archivistico. Manufatti cartacei e pergamenacei. Materiale fotografico, cinematografico e digitale”. Ilcorso, quinquennale a ciclo unico, è articolato in300 crediti formativi e prevede un esame finale avente valore di esame di Stato abilitante alla professione di restauratore di beni culturali, titolo equiparato ad una laurea magistrale. Il concorso per diventare restauratori prevede una selezione per esami che consisterà nell’espletamento di unaprova grafica, un test attitudinale pratico – percettivo e una prova orale che verteranno su argomenti e contenuti dettagliatamente indicati nel bando.

REQUISITI
Per partecipare al concorso per diventare restauratori indetto dall’ICRCPAL occorre il possesso dei seguenti requisiti:
– diploma quinquennale o quadriennale con anno integrativo di istruzione secondaria superiore;
– cittadinanza italiana o di uno Stato estero purchè unita al possesso di un titolo di studio equipollente a quello richiesto;
– idoneità fisica;
– non aver riportato condanne penali.

DOMANDA
Le domande di partecipazione, redatte in carta libera secondo lo schema allegato al bando e complete della documentazione richiesta dallo stesso, devono essere presentate, entro il 29 luglio 2013, alla Segreteria SAF dell’Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario, Via Milano, 76 – 00184 Roma, secondo una delle seguenti modalità:
– per i cittadini italiani o di altri Stati appartenenti all’Unione Europea, nonchè per i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea, ma con residenza anagrafica in Italia, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, oppure consegna a mano;
– per i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea residenti all’estero: esclusivamente tramite la Rappresentanza diplomatica o consolare italiana competente per territorio.

BANDO
Per maggiori informazioni, vi invitiamo a scaricare e leggere attentamente il BANDO (Pdf 502Kb) e a visitare la pagina relativi al concorso per diventare restauratori indetto dall’Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario di Roma.

Durante tutto l’anno la Scuola di Alta Formazione dell’Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario di Roma pubblica diversi concorsi pubblici per l’ammissione di nuovi allievi. E’ possibile monitorare la pubblicazione dei bandi consultando questa pagina.

Maggiori informazioni http://www.cultural-diagnostic.it/news/concorso-per-diventare-restauratori/

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Antico testo alfabetico di Gerusalemme, risalente a tremila anni fa


Archeologia: scoperto piu’ antico testo alfabetico di Gerusalemme, risale a tremila anni fa

 dall'Università ebraica di Gerusalemme

Gerusalemme, 18 lug. – (Adnkronos) – Operando nei pressi del Monte del Tempio a Gerusalemme, l’archeologa Eilat Mazar dell’Universita’ Ebraica ha portato alla luce il piu’ antico testo alfabetico scritto mai scoperto nella citta’. L’iscrizione compare incisa su un frammento di un grande pithos, una giara di ceramica senza collo, che e’ stata trovata insieme ad altre sei nel corso dei recenti scavi all’Ofel (Citta’ di Davide). Secondo Eilat Mazar, la scritta, in lingua cananea, e’ l’unica del suo genere mai scoperta a Gerusalemme e aggiunge un importante tassello alla storia della citta’. Datato al X secolo a.C., il reperto precede di 250 anni la piu’ antica iscrizione ebraica finora conosciuta a Gerusalemme, che risale al periodo del re Ezechia, alla fine dell’VIII secolo a.C. Archeologa di terza generazione attiva presso l’Istituto di Archeologia dell’Universita’ di Gerusalemme, la dottoressa Mazar dirige gli scavi archeologici sulla sommita’ della Citta’ di David e nella parte meridionale del muro che fa da contrafforte al Monte del Tempio. La scoperta, anticipa il sito Israele.net, verra’ ufficialmente annunciata in un articolo scientifico firmato dalla stessa Mazar insieme a Shmuel Ahituv, dell’Universita’ Ben-Gurion del Negev, e a David Ben-Shlomo, dell’Universita’ di Gerusalemme, e che rendera’ conto delle loro approfondite ricerche sul manufatto. In particolare, Ahituv ha studiato l’iscrizione mentre Ben-Shlomo ha studiato la composizione del materiale ceramico. Il saggio apparira’ sul numero 63/1 (2013) dell”’Israel Exploration Journal”. Dell’iscrizione, che venne incisa in prossimita’ del bordo del vaso prima che venisse cotto, rimane solo un frammento, insieme ai frammenti di altri sei grandi vasi dello stesso tipo. I frammenti erano stati successivamente usati per stabilizzare la terra di riempimento sotto il secondo piano dell’edificio in cui sono stati scoperti, e che risale al periodo della prima Eta’ del Ferro, intorno al X secolo a.C. L’analisi della composizione dell’argilla delle giare indica che sono tutte di matrice simile e che probabilmente ebbero origine nella regione montuosa centrale, vicino a Gerusalemme.

Adnkronos NewsAdnkronos News – gio 18 lug 2013

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Il manoscritto del Lancillotto


Lancillotto170707312-4e6f44fe-1525-46e9-9731-de78700308bbLancillotto, la prima versione in italiano

Potrebbe essere il codice medioevale tradotto del “Lancelot en prose”, il più noto romanzo del ciclo di re Artù risalente al XIII secolo. Forse lo sfogliò anche Dante. Finora erano conosciute solo copie in lingua originale. Cinquantasei fogli e un mistero. Scoperto per caso in una villa in Liguria. La storia e la donazione alla Fondazione Franceschini di Firenze.

E’ stato donato alla Fondazione Franceschini di Firenze un manoscritto medievale, contenente l’unica traduzione in italiano antico conosciuta ad oggi del “Lancelot en prose”, il più noto romanzo arturiano risalente al XIII secolo. Secondo gli studiosi, potrebbe trattarsi dello stesso testo letto da Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, tutti appassionati della grande storia d’amore tra Ginevra e Lancillotto. Il manoscritto, un frammento trecentesco di 56 fogli di un codice allestito a Firenze, è stato scoperto per caso in una villa in Liguria e affidato dai proprietari al ricercatore Luca Cadioli, che ne ha fatto oggetto della sua tesi di dottorato all’Università di Siena.

Lancillotto2-171431139-db2b14c9-6870-4bab-9496-959d435230f2 “Ho capito subito che si trattava di qualcosa di speciale – racconta lo studioso – Ho cercato di stabilire se si trattasse di una copia di testi già noti, ma in breve ho scoperto che era una traduzione letterale. E’ un ritrovamento molto importante, in sostanza si mette fine ad un’anomalia visto che finora erano conosciute solo copie in lingua originale. Si può dire che questo manoscritto entra di diritto nella storia della letteratura italiana del XIV secolo”. Il codice è composto da otto quaderni non rilegati, in pergamena di riuso. La numerazione dei fogli arriva fino a pagina 296, segno che il codice doveva contenere il romanzo fin dal suo inizio. I copisti impegnati nella scrittura sono due, entrambi toscani, uno dei quali risultato più competente dell’altro. Il testo è disposto su due colonne e intervallato da ampi spazi bianchi dedicati ad accogliere miniature, che non furono però mai realizzate. Grazie a una serie di complesse ricerche è stato possibile localizzare l’opera proprio a Firenze, e datarla intorno alla metà del 1300.

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Il manoscritto sarà presentato al pubblico domani alle 15,30 nella sede della Fondazione, a Firenze, alla presenza dei massimi esperti della letteratura cortese tra cui il professore Lino Leonardi, docente di filologia romanza all’Università di Siena. Ulteriori informazioni: www.fefonlus.it e la presentazione in streaming: http://www.youtube.com/user/fefonlus

http://firenze.repubblica.it/cronaca/2013/05/30/news/il_manoscritto_del_lancillotto_ritrovato_in_una_casa_in_liguria-59993314/

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Bologna, scoperta la più antica Torah del mondo

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Catalogato come modesto manoscritto del XVII secolo, in realtà era stato compilato 850 anni fa

Era lì, in un archivio, da secoli. Quasi dimenticato. Certamente non considerato quanto avrebbe dovuto. Perché un «tesoro» come il rotolo della Torah — la Bibbia ebraica — conservato alla biblioteca dell’Università di Bologna meritava ben altro. Come ha infine compreso il professor Mauro Perani: catalogato come un modesto manoscritto risalente al XVII secolo, in realtà sarebbe stato compilato all’incirca 850 anni or sono. E dunque si tratterebbe del più antico rotolo completo del mondo. Un reperto dal valore immenso, culturale e non solo.

PENTATEUCO — Da millenni, gli ebrei leggono brani della Torah, ovvero i cinque libri mosaici (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio: il Pentateuco) durante le funzioni del sabato in sinagoga e in altre festività. I testi sono manoscritti e realizzati in forma di rotolo che viene via via «aperto» per seguire il racconto biblico. Il documento, chiamato «Rotolo 2», che il professor Perani, ordinario di Ebraico presso il Dipartimento di Beni culturali dell’Ateneo felsineo (sede di Ravenna), stava esaminando è di morbida pelle ovina (lungo 36 metri e alto 64 centimetri) ed era stato precedentemente identificato da un bibliotecario, Leonello Modona, ebreo di Cento (siamo alla fine dell’Ottocento), come probabilmente risalente al XVII secolo.

LEGAME — Il «Rotolo 2», invece, sarebbe stato vergato in un periodo compreso tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII (1155-1225): dunque risulta essere il più antico rotolo ebraico completo della Torah oggi conosciuto. Questa scoperta sembra voler riconfermare il legame che unisce a filo doppio Bologna e la Torah: nella città di Bo-lan-yah (pronuncia dialettale che in ebraico significa: «In essa alloggia il Signore») fu stampata nel 1482 la prima edizione del Pentateuco ebraico e, oggi, a Bologna, si scopre il più antico rotolo della Torah fin qui ritrovato.

Foto: Scoperto il più antico rotolo esistente della Torah, era in una biblioteca di Bologna. La Biblioteca Universitaria di Bologna (Bub) conservava da epoca immemorabile, senza saperlo, l'importante documento, datato tra la seconda metà del XII secolo e l'inizio del XIII. A individuarlo è stato un professore ordinario di Ebraico dell'ateneo

«SCRITTURA GOFFA» — Come sia arrivato a Bologna, confessa la direttrice della biblioteca Biancastella Antonino, resta un mistero. In ogni caso l’istituto universitario sta mettendo in atto le dovute precauzioni per conservarlo e custodirlo. Sarà fotografato, sezione per sezione, e reso disponibile per gli studi in forma digitale. Ma come è stato scoperta la vera «età» del Rotolo? Nella prima catalogazione veniva messa in evidenza da Modona la «scrittura goffa» del documento. Nell’esaminarla per il nuovo catalogo della biblioteca, in via di stampa, il professor Perani si è accorto che «la grafia era molto antica e di origine orientale», probabilmente in stile babilonese, uno stile utilizzato ben prima di quanto ritenuto al momento dell’ultimo «esame», nel 1889.

SOSPETTI — In contatto con i massimi esperti al mondo di ebraismo, il docente ha avuto conferma dei suoi sospetti. Tutti gli studiosi sono stati d’accordo nel datarlo tra l’XI e il XIII secolo, ha spiegato Perani. Sono state eseguite anche due prove al Carbonio 14, una all’Università del Salento e una in un laboratorio americano, che hanno confermato la datazione. Tra l’altro, ha detto ancora il docente, «il testo non rispetta le regole di Maimonide, che nel XII secolo fissò in maniera definitiva tutta la normativa rabbinica relativa alla scrittura del Pentateuco». Nella Torah «bolognese», quindi, «ci sono lettere e segni assolutamente proibiti» dopo la codificazione di Maimonide. Ad oggi i rotoli «sono molto rari perché i manoscritti — ha concluso Perani — quando sono rovinati perdono la loro santità, non possono più essere usati per le funzioni religiose e quindi vengono seppelliti». Per fortuna non è capitato al «tesoro ebraico» di Bologna.

Paolo Salom
@PaoloSalom

© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/cultura/13_maggio_29/torah-bologna-salom_66566c02-c7e7-11e2-803a-93f4eea1f9ad.shtml

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Recuperare frammenti di antichi manoscritti


Come è ben evidenziato in questo video elaborato dall’ Archivio di Stato di Bologna, molto spesso si trovano come coperte di antichi manoscritti archivistici, frammenti e pagine di antichi libri membranacei che all’epoca venivano smembrati e riutilizzati come rivestimenti di documenti cartacei. Così come accade sovente, di ritrovare, carte manoscritte adese e utilizzate come supporto di rinforzo dei piatti, o ancora, frammenti membranacei manoscritti, incollati e posizionati sul dorso di antichi libri, per crearne l’indorsatura.

L’opera attenta e accurata del restauratore, in queste circostanze, è quella di separare tutte queste parti non coeve al documento, di restaurarle e condizionarle in camicie di cartoncino durevole acid-free, consegnandole al committente, unitamente al documento manoscritto restaurato. Faranno parte della storia di quel documento, assumendo una notevole importanza dal punto di vista codicologico.

La codicologia è la disciplina che studia i manoscritti, nel loro aspetto materiale. La codicologia stricto sensu viene definita “l’archeologia del libro”. Essa studia con la massima attenzione forma, supporti e procedure tecniche per la fabbricazione del libro. In generale l’archeologia del libro comprende una serie di conoscenze e di competenze di natura prettamente tecnica; essa si occupa della fisicità del manoscritto, della sua materialità.

 

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Il libro mette il pannolino


Il Super Slurper nella sua forma gelatinosa. Foto: George Robinson. Cortesia dell'Agricultural Research Service.

Il Super Slurper nella sua forma gelatinosa. Foto: George Robinson. Cortesia dell’Agricultural Research Service.

Una nuova invenzione per “asciugare” libri, stampe e materiale cartaceo danneggiato dall’acqua.

Con il nome da fumetto che si ritrova potrebbe non essere preso sul serio, e invece Super Slurper (il “Super Succhiatore”) si candida a diventare un prezioso alleato di bibliotecari e archivisti. Si tratta infatti di un composto sintetico a base di amido di mais capace di assorbire un quantitativo di acqua variabile da 2000 a 5000 volte il proprio peso e che per questo si pensa di impiegare per “asciugare” libri, stampe e materiale cartaceo in genere danneggiati durante alluvioni e allagamenti.
Dai campi alle biblioteche. Sintetizzato per la prima volta negli anni ’70 nei laboratori del National Center for Agricultural Utilization Research (NCAUR) degli Stati Uniti, Super Slurper fino a oggi è stato impiegato in agricoltura per migliorare la capacità di assorbimento dell’acqua da parte di semi in germinazione e radici, e nell’industria medico farmaceutica nei pannolini per bambini, negli assorbenti igienici femminili e nelle bende per fasciature. Ora si pensa che sia possibile utilizzarlo con successo anche in biblioteche e archivi.
Superassorbente. Le procedure per asciugare i libri sono infatti lunghe, laboriose e dispendiose: con i ventilatori elettrici, per esempio, possono essere necessarie settimane, così come con altri metodi che prevedono l’impiego di camere a temperatura costante o di fogli di carta assorbente. Super Slurper, invece, costa poco, agisce in 10 minuti, non danneggia l’inchiostro e una volta assorbita l’acqua diventa una pasta gelatinosa facilmente asportabile. Le modalità di impiego esatte, però, non sono ancora note perché il prodotto è protetto da segreto aziendale in attesa di essere brevettato.

(Notizia aggiornata al 6 ottobre 2003)

http://www.focus.it/scienza/tecnologia

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Firenze 1968: dopo l’alluvione…


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Perché i libri sono belli ………


….e fanno ricca la nostra vita interiore…quindi amiamoli e prendiamoci cura di loro….

A tutti gli amanti dei libri :  AUGURI!

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Roma, il Novecento giapponese alla Gnam


Arte figurativa nel Sol Levante

Quel ‘900 senza tempo

Per il cinquantesimo anniversario della nascita dell’istituto culturale nipponico a Roma, la Gnam propone una mostra con 111 dipinti e 59 opere d’arte decorativa, provenienti  dai più importanti musei e collezioni private del Paese asiatico. La mostra é distinta in due diverse fasi: dal 25 febbraio al 1 aprile e dal 4 aprile al 5 maggio.

Quel '900 senza tempo. Arte figurativa nel Sol Levante

La paura di non essere all’altezza, ci fa salire di un gradino. Così recita un proverbio giapponese, che per certi versi ben descrive il percorso dell’arte nipponica del XX secolo. L’occasione per conoscerla più da vicino, ci è data dalla mostra da poco inaugurata alla Gnam, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, di Roma. In occasione dei cinquant’anni dell’Istituto Giapponese di Cultura a Roma,  in collaborazione con The National Museum of Modern Art di Tokyo e con l’Ambasciata del Giappone in Italia, è stata organizzata per la prima volta un’ampia esibizione dedicata all’arte giapponese del Novecento, un periodo ancora poco esplorato, d’intense trasformazioni, che va dalla restaurazione dell’Imperatore Meiji nel 1868, alla fine della seconda guerra mondiale.

LE IMMAGINI

Proprio intorno al 1870, grazie allo studioso americano, Ernest Fenollosa, docente all’Università di Tokio e grande divulgatore, l’arte giapponese iniziò a farsi conoscere in Occidente. In breve tempo divenne molto famosa, esercitando per esempio un notevole impatto sull’impressionismo francese, che avrebbe poi influenzato a sua volta gli artisti del Giappone. Molte forme dell’arte giapponese furono introdotte ex novo alla fine del XIX secolo per rispecchiare i desideri dell’Occidente, insistendo per esempio sulle forme d’arte più popolari e pittoresche e trascurando invece le creazioni più austere dell’arte classica, più raffinata e d’ispirazione cinese. Ci sono delle differenze fondamentali tra ciò che noi intendiamo come percorso classico della storia dell’arte, rispetto a come si è evoluta l’arte Giapponese, ad esempio l’istituzionalizzazione avvenne solo alla fine del XIX secolo, perché il Giappone non conosceva alcuna netta divisione tra le diverse forme di comunicazione visiva.

Come in molte società tribali, in cui anche gli oggetti più umili sono realizzati con cura estrema al fine di renderli bellissimi, i giapponesi non facevano distinzione tra il fine utilitaristico e l’aspetto estetico.
La mostra alla Galleria nazionale  d’arte moderna,  presenta la pittura nihonga (“stile giapponese”, in opposizione alla pittura y? ga in “stile occidentale”) e una ricca sezione di arti applicate, una selezione di alto livello qualitativo di opere che reinterpretano lo spirito della tradizione: dai kakemono, i tipici dipinti su rotoli verticali di carta o di seta, ai magnifici paraventi che decoravano gli interni delle case giapponesi, poi lacche, ceramiche, tessuti, kimono, vasi, intagli in legno, capolavori di una lunga e raffinata tradizione artigianale. Sono poi affrontati tutti i soggetti, tipici della poetica nipponica: raffigurazioni di animali, immagini femminili, fiori, paesaggi, e dettagli che rappresentato le stagioni che passano.

Tradizionalmente, i giapponesi sono vissuti in un mondo alquanto circoscritto sotto l’aspetto materiale, indossando per lo più abiti molto semplici, vivono  in case piccole e possiedono pochi beni personali. Eppure, quel poco è sempre stato oggetto di enorme attenzione, come se tutto anche l’oggetto più umile meritasse cura e bellezza.  Noi occidentali invece, abbiamo sempre vissuto la netta separazione tra l’aspetto utilitaristico e quello estetico. Gli oggetti di uso immediato erano opera di tecnici o di artigiani, mentre le forme d’arte più elevata, come la pittura, che produceva dipinti bellissimi ma di nessuna utilità pratica, era appannaggio degli artisti. Si tratta di una separazione che molti fanno risalire al Rinascimento, l’epoca in cui si creò la distinzione tra artigiano e artista e in cui l’estetica occidentale pose come proprio principio organizzatore fondamentale “l’arte per l’arte”. In Giappone la linea di demarcazione tra arte pura e arte applicata rimane tuttora alquanto vaga, tanto che i giapponesi riconoscono ai grandi artisti-artigiani il massimo prestigio definendoli ufficialmente “tesori nazionali viventi”.

di VALENTINA TOSONI

Notizie UtiliArte in Giappone 1868-1945.
La mostra si svolgerà in due fasi espositive  successive, per esigenze conservative.
A cura di Masaaki Ozaki, Ryuichi Matsubara, Stefania Frezzotti.
Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea
Viale delle Belle Arti 131, Roma
Ingresso per disabili: via Gramsci 73
Orari di apertura: martedì – domenica dalle 10.30 alle 19.30 (la biglietteria chiude alle 18.45). Chiusura il lunedì

Roma, il Novecento giapponese alla Gnam

Gyokudo Kawai. Paesaggio montano con nuvole e pioggia (San’u shinsei). 1929. Nikaido Museum

Roma, il Novecento giapponese alla Gnam

Chikudo Kishi. Tigri (Mo ko zu). 1895. The Museum of Modern Art, Shiga

Roma, il Novecento giapponese alla Gnam

Kansai Mori. Uva e scoiattoli (Budo to risu). 1882. Yamaguchi Prefectural Museum of Art

Roma, il Novecento giapponese alla Gnam

Taikan Yokoyama. Cascata (Hisen). c. 1900. Aichi Prefectural Museum of Art, Nagoya

Roma, il Novecento giapponese alla Gnam

Gyokusho Kawabata. Primavera a Muko jima (Muko jima shunshoku). 1894. The Miyagi Museum of Art

Roma, il Novecento giapponese alla Gnam

Eikyu Matsuoka. Lo stagno di Ikaho (Ikaho no numa). 1925. The University Art Museum, Tokyo University of the Arts

Roma, il Novecento giapponese alla Gnam

Kihachi Tabata. Kimono a maniche lunghe (furisode) con motivo di crisantemo. The National Museum of Modern Art, Kyoto

Roma, il Novecento giapponese alla Gnam

Kinko Zan, So bei VII. Giara con coperchio con motivo di fiori e uccelli. 1884-97. The National Museum of Modern Art, Tokyo

Roma, il Novecento giapponese alla Gnam

Anonimo. Rotolo campione con motivo realizzato a tintura yu zen. Epoca Taisho. Chiso Co., Ltd

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Fotografia dell’opera d’arte


Corso consigliato a coloro che intendano inserirsi nel settore dell’editoria, e della conservazione dei Beni Culturali.

La riproduzione fotografica delle opere d’arte è una tecnica articolata e complessa del settore della fotografia. Imparare le metodologie e le problematiche e conoscere gli strumenti e il loro utilizzo, da modo di acquisire una professionalità molto richiesta nel settore della diagnostica, conservazione e salvaguardia dei Beni Culturali e nel settore specifico dell’editoria.

Il programma prevede: descrizione degli apparecchi fotografici. Obiettivi fotografici per il piccolo, il medio e il grande formato. Luminosità, lunghezza focale e profondità di campo. Fotografia analogica e digitale. Sensore o pellicola ?. Misurazione della luce. Sistema zonale. Effetto Schwarzschild. Tecniche di ripresa. I filtri fotografici. Il flash in pratica, accorgimenti sull’esposizione con luce naturale. Accessori fotografici indispensabili per il fotografo di opere d’arte (quando e come adoperarli). Tecnica di ripresa con polarizzazione semplice e incrociata. Considerazioni generali sulle ricognizioni fotografiche di architettura e paesaggio. Dallo scatto alla stampa, preparazione del file. Il fotoritocco per il fotografo di opere d’arte : accorgimenti e “trucchi del mestiere”.

Tipo di insegnamento: Teorico-Pratico

Durata: Tre giorni per complessive 24 ore

Dal 15/04/2013 al 17/04/2013

Costo € 450,00

Docente: Prof. Massimo Velo Fotografo professionista dal 1974, svolge la sua attività principalmente a Napoli, nei settori dell’architettura e del patrimonio storico-artistico. Autore di numerose pubblicazioni tra cui il volume edito da Macchiaroli” Una Storia per Immagini” memoria fotografica della città di Napoli dal 1400 al 1900. Collabora con la Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Napoli sin dal 1975 ed è accreditato presso La Soprintendenza per il Polo Museale, Società Napoletana di Storia Patria, Università Federico II, II Università di Napoli, Ministero degli Interni, Biblioteca Nazionale, Archivio di Stato di Napoli. 2001 collabora con il Centro Interdipartimentale sull’Iconografia della Città Europea, presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” Docente di “ Tecniche di Ripresa con il banco ottico presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli.

Prof. Massimo Velo

www.istitutoeuropeodelrestauro.it

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