Parlare di tempera all’uovo nel mondo frenetico come quello odierno potrebbe sembrare alquanto contraddittorio. Ed effettivamente lo è. Infatti per “scrivere” un’icona, come si dice in gergo, è necessario tempo, pazienza, silenzio, pratica e precisione. Tutti elementi così rari oggigiorno. Ma la riscoperta di questa tecnica in questi ultimi tempi porterebbe a pensare che, nonostante tutto, siamo ancora, e sempre di più, alla ricerca di un’interiorità, di un rapporto personale con l’Infinito. Perché per dipingere un’icona è necessario proprio questo: lo scopo è quello di annunciare con linee e colori, come il Vangelo fa con le parole, la Buona Novella, la misericordia di Dio, ed il mezzo, fondamentale, è il continuo dialogo interiore tra te che dipingi e chi vai a rappresentare.
La tempera all’uovo è una tecnica molto antica, diffusa soprattutto nel mondo bizantino dove il culto delle icone era, ed è ancora in ambiente ortodosso, parte integrante della fede cristiana.
I colori sono pigmenti in polvere, terre e minerali, tra i più preziosi che si trovano in natura (oro, lapislazzuli, smeraldi, etc). Sono legati da un’emulsione composta da tuorlo d’uovo, simbolo di vita, vino bianco, segno del sangue dell’Alleanza versato da Cristo per la salvezza dell’uomo e, occasionalmente, un’essenza di lavanda il cui profumo, oltre a nascondere l’odore non proprio gradevole del composto, rimanda all’unzione del Figlio di Dio. Tutto infatti nelle icone oltre ad avere una funzione tecnica, presenta una simbologia.
Il supporto è una tavola di legno massello, su cui si applicano una tela di lino e sette strati di gesso e colla. Il lino, che simboleggia il telo della Sindone, ha il compito di tenere fermo il legno che, essendo un materiale vivo è in continuo movimento e potrebbe col tempo, causare danni al dipinto finito. Il gesso, bianco e splendente, costituirà la superficie da cui l’iconografo farà emergere l’immagine, eikon in greco, da cui deriva il termine icona.
Dopo aver delineato i contorni della figura da rappresentare si passa ai colori. Si parte da quelli più scuri e si procede con i più chiari, le lumeggiature, fino ai punti di luce ottenuti con bianco puro. Il blu indica l’umanità, il rosso la divinità, il bianco la risurrezione, il verde lo spirito, il nero è la morte.
Ma il mondo dell’iconografia racchiude una ricchezza inestimabile che non si può esprimere in poche righe. L’intento era di suscitare interesse, o anche solo curiosità, verso quella che da molti è ritenuta un’arte esclusivamente “da monastero”. Invito poi chi volesse approfondire queste conoscenze ad accostarsi ai numerosissimi corsi che si svolgono ormai in maniera capillare in tutta Italia, perché come un tempo un apprendista imparava il mestiere “a bottega”, così la presenza di un maestro iconografo per apprendere quest’arte è alquanto indispensabile.